A parte la fine, è sicuramente un bel racconto che fa stare il lettore col fiato sospeso, che lo induce a leggere tutto d’un fiato. Nadia è la protagonista. Una donna che non si sente adatta, che ha l’impressione di vivere una vita che non le appartiene. Sembra come “sospesa”, fuori dal proprio corpo e, da quella particolare posizione, vede scorrere la sua vita come se guardasse quella di un’altra persona. E non permette a nessuno di avvicinarla e di conoscerla, rimane sempre fredda e tenta in qualche modo di autocancellarsi. Sicuramente è una donna segnata dal trauma della perdita del padre e del fratello. Le è mancata una figura maschile che non è stata compensata da quella materna. Anche la madre è un personaggio ambiguo, custode di un segreto importante che ha influito anche sulla vita di Nadia. Questo segreto non è chiaro per noi lettori. Una cosa è sicura: questa donna odia gli uomini e ha trovato difficile amare il figlio maschio. Ma perchè? Cosa voleva sottintendere l’autrice? Una violenza in tempi lontani? E perchè Nadia non ricorda niente della sua infanzia? Va bene che si tratta di un racconto, ma troppi interrogativi rimangono senza una risposta!
Anto Spanò