Lettura forte, ma necessaria. Carrère racconta il processo contro i complici (i responsabili sono morti) e l’unico sopravvissuto tra i colpevoli delle azioni terroristiche avvenute venerdì 13 novembre 2015 al Bataclan, allo Stadio e in alcuni bistrot. Centotrentuno vittime. Le testiminianze dei superstiti e dei familiari delle vittime, sono il momento più emozionante di tutto il racconto che si svolge così come si è svolto il processo: le vittime, gli imputati, la corte. Vibrano anche le testimonianze degli imputati e sarà Salah Abdeslam (l’unico che “non si è fatto saltare in aria”) a darci un maggior senso di frustrazione, perché la storia si vorrebbe più semplice, ma non lo è affatto “tutto quel che dite su noi jihadisti, è come se leggeste l’ultima pagina di un libro. Il libro dovreste leggerlo dall’inizio”. No, non è una giustificazione per l’orrore che si è svolto, ma capire è un dovere di tutti. E d’altronde un processo serve anche a questo “imparare a sostituire la legge del taglione con il diritto, la vendetta con la giustizia: questo è ciò che chiamiamo civiltà”. Questo processo ha messo in luce, ma si legge solo tra le righe, non solo le falle dei servizi di intelligence, ma anche il disastroso progetto di integrazione (potrebbe forse rientrare tra le cause di ciò che è accaduto? Non ho risposta, ma la domanda me la sono posta) “arabi, umiliati, confinati in una lurida periferia del mondo, ridotti – nei paesi in cui, spinti dalla povertà, sono andati a cercar fortuna – alla miserabile condizione di lavoratori immigrati, ombre furtive e sessualmente frustrate che nella prima generazione affollano le squallide case popolari appositamente costruite e nella seconda, non ancora veramente integrati, lacerati fra il disprezzo e la pietà per i loro poveri genitori”. Ho pensato a “Moll Flanders” di Daniel Defoe perché Defoe ha espresso bene un concetto: un uomo ridotto alla fame non potrà non rubare (o diventare un criminale pieno di odio per il Paese che lo ospita). E c’è ancora la frase di una mamma, Nadia, che in un bistrot ha perso la figlia, Lamia, “pensare che quelli che l’hanno uccisa avevano la sua stessa età. Che sono stati accompagnati a scuola tenendoli per mano […]. Erano dei bambini che venivano tenuti per mano”. La componente umana dei familiari delle vittime è ciò che più mi ha colpito al cuore: non vendetta, ma giustizia, non odio, ma tentativo di comprendere, non abbandono al dolore perpetuo, ma voglia di dare un grande senso alla vita, sempre più mercificata. È necessario leggere V13? Sì, per dare ai giovani morti un nome. Per noi sono vittime del Bataclan, dei bistrot, dello Stadio, ma hanno dei nomi, dei volti, storie della loro vita da raccontare, così come farà la testimonianza di un fotografo “li vedevo a uno a uno, ciascuno nel suo dolore individuale e infinito, e la storia di ciascuno, il dolore di ciascuno, l’anima di ciascuno scoppiano davanti ai miei occhi”. La morte, è democratica quando arriva per età o malattia, ma è una ladra quando arriva per mano di un assassino. Carrère non tralascia nulla e piombare in una sorta di malinconia è il prezzo che si paga alla fine di questa lettura.
Erika Maccan
Libro vincitore del Premio Strega Europeo 2023
Libro vincitore del Premio internazionale Costa Smeralda 2023
Un viaggio al termine dell’orrore e della pietà raccontato con lucida empatia, senza un’ombra di enfasi o di lirismo, dall’autore dell’Avversario.