“Da stasera voglio convincermi che a partire da maggio i nostri uomini potranno andare alle fiere e ai mercati come una volta, senza morire per la strada. La gioventù potrà ballare all’aperto, le donne giovani resteranno incinte volentieri, e noi vecchie potremo uscire sulla nostra aia senza la paura di trovarci un forestiero armato. E a maggio, le sere belle, potremo uscire fuori e per tutto divertimento guardarci e goderci l’illuminazione dei paesi.” Ho letto questo romanzo al liceo e ho deciso di rileggerlo in occasione del gruppo di lettura organizzato da Amo i classici. È una di quelle icone che rappresentano la guerra partigiana, la liberazione italiana dalla dittatura fascista, la letteratura del secondo dopoguerra. E non è un romanzo eroico, è un romanzo vero, un esempio di puro realismo. Fenoglio racconta di come la guerra dei partigiani, e la guerra in generale, fosse anche una questione privata combattuta da uomini comuni, non solo straordinari. Milton, un partigiano badogliano, scopre che la ragazza di cui era innamorato ha avuto una relazione con un suo amico, partigiano anche lui. Si mette in cammino per parlare con il compagno e scoprire la verità, ma questi nel frattempo viene imprigionato dai fascisti. La sua determinazione a sapere come davvero siano andate le cose con l’innamorata (e forse anche l’affetto per l’amico di infanzia) lo spingono a rischiare il tutto e per tutto per liberarlo e potergli fare tutte le domande che lo perseguitano. Durante l’avventura tutta privata di Milton, l’autore riesce a regalarci scorci dell’epoca che ci danno un’immagine reale della resistenza e del conflitto mondiale. La guerra, ci insegna Fenoglio, non è solo un’impresa eroica, ma una condizione umana che coinvolge chiunque in tutta la sua completezza, compresa la sua intimità.
Alessandra Micelli