In una mattina di ottobre Chester’s Mill, nel Maine, viene improvvisamente tagliata fuori dal mondo: una misteriosa cupola trasparente cala sulla città come una ghigliottina seminando morte lungo il perimetro. Nulla riesce ad attraversare la barriera e tantomeno ad abbatterla, nonostante i tentativi messi in atto dalle forze armate. Come insetti bloccati con un barattolo di vetro da un bambino cattivo, gli abitanti della piccola città devono fare i conti con il deteriorarsi delle condizioni climatiche, il progressivo assottigliarsi delle scorte energetiche e, soprattutto, con la sete di potere e l’inettitudine dei suoi governanti. Ancora una volta King riesce a creare una situazione estrema, in cui il male non è esterno, ma nasce dentro ogni singolo, che in un vortice di egoismo e narcisismo, porta alle estreme conseguenze una situazione disperata. The Dome può, come molti altri lavori di King, essere definito un romanzo sociologico, in cui l’autore analizza con abilità le dinamiche sociali e interpersonali. Un romanzo in cui i buoni e i cattivi si dividono su due fronti netti e contrapposti, forse con un eccesso di stereotipi umani (il buono dal passato non immacolato, il cattivo che incarna fisicamente la corruzione e la perdizione, nascoste da una proclamata vera e profonda fede religiosa) I personaggi sono molti, forse troppi e, per quel che mi riguarda, non sono riusciti a entrarmi nel cuore, a scatenare quell’empatia che ho provato leggendo altri lavori del re (vedi “It” o “L’ombra dello scorpione”)

recensione di Patty Barale