Cecilia è stata abbandonata presso l’Ospedale della Pietà di Venezia ed è, naturalmente, lì cresciuta insieme ad altre ragazze di ogni età. Nella Venezia degli inizi del Settecento, l’istituto, gestito dalle suore, è molto prestigioso, anche perchè ospita una prestigiosa orchestra femminile della quale fa parte anche Cecilia e riceve donazioni dai benestanti signori della città. Cecilia avverte un vuoto incolmabile dentro di sé, vorrebbe conoscere la madre che l’ha abbandonata e capire il perchè di questo gesto per lei assolutamente incomprensibile. Ed allora comincia a scriverle tutta una serie di lettere in cui le parla di sé, permettendo, così, anche a noi lettori di conoscerla a fondo. Un giorno un nuovo maestro, Antonio Vivaldi, assume la direzione dell’orchestra e, contemporaneamente, diventa decisivo nella scelta finale di Cecilia. Il libro è decisamente affascinate, ma perde un po’ di smalto alla fine della storia. Gli sviluppi finali diventano, secondo me, un po’ contorti e confusi. Però Cecilia è sicuramente un personaggio ben riuscito, anche se spesso può risultare insofferente e, a volte, indolente. Per certi versi mi ha ricordato la Maria di “Storia di una capinera” di Verga.
Anto Spanò