Buongiorno, e benvenuti al primo appuntamento di una nuova rubrica del nostro gruppo, che sarà tutta incentrata sulla vita, l’opera, i segreti e le relazioni di uno dei più grandi autori francesi del XIX secolo: Victor Marie Hugo (26 febbraio 1802 – 22 maggio 1885; nell’immagine, in un ritratto di Léon Bonnat).
Come iniziare questa rubrica, se non presentando il “nostro” Hugo? Certo, ma chi potrebbe farlo meglio, se non Hugo stesso? Per questo, oggi, Victor presenterà Hugo (o Hugo Victor, se preferite!), e lo farà con una poesia scritta il 23 giugno 1830, e che Hugo pubblicò in una delle sue prime raccolte poetiche: Le foglie d’autunno (1831). La poesia è intitolata Ce siècle avait deux ans (Questo secolo aveva due anni), ed è una vera autopresentazione del poeta. Insieme ne leggeremo dei brevi estratti, così da ricostruire un quadro d’insieme della vita di Victor Hugo.
Dopo un’introduzione in cui specifica il contesto in cui nacque a Besançon, nella Francia del 1802 (quando “questo secolo aveva due anni”) prossima al sorgere dell’Impero napoleonico, Hugo descrive se stesso come un bambino fragile, poco avvezzo alla presenza del padre Léopold (un ufficiale napoleonico, allontanatosi dalla famiglia dopo un divorzio burrascoso) ma mai abbandonato dalla madre, Sophie Trébuchet, che lo crescerà con amore e dedizione, educandolo secondo i propri ideali monarchici e cristiani. Ma molte sono le sofferenze amorose, come l’opposizione della famiglia al matrimonio con l’amata Adèle Foucher, e molti i tormenti del giovane Victor, che fatica a far imporre il proprio nome. Ai versi 35-38 (la modesta traduzione, così come in tutti gli estratti futuri dove non venga esplicitato altrimenti, è mia), dice di sé:
«Ora, ancor giovane e spesso temprato,
sono segnato da più d’un ricordo profondo,
e si possono intravedere molte cose trascorse
sulle rughe della mia fronte, tracciate dai pensieri.»
Ma Hugo è forte almeno quanto è determinato: orfano di madre, riesce presto a sposare Adèle, a creare una famiglia e a diventare un autore stimato. Si avvicina alla politica, ed entra nel cuore della vita pubblica del suo Paese. Quindi, ai vv. 67-72:
«Del resto ho trascorso con integrità i giorni bui,
e so da dove provengo, se ignoro dove vado.
La tempesta delle fazioni col suo vento infuocato
è passata sul mio animo senza alterarne l’onda.
Nulla d’impuro è nel mio cuore, nessun orrido fango
che non attende che un soffio per turbarne il candore!»
E Hugo conclude la poesia definendosi (vv. 77-78)
«Fedele, infine, al sangue che mi han versato nelle vene
mio padre, vecchio soldato, e mia madre vandeana.»
Questo è Victor Hugo, nel giugno del 1830. Un letterato romantico, autocompiaciuto della sua vita burrascosa, ma conscio del retaggio duplice che viene dai suoi genitori: da un lato il conservatorismo settecentesco della madre vandeana, dall’altro il fervore e il liberalismo del suo padre soldato – che presto avrebbe prevalso sulle sue iniziali simpatie monarchiche.
Ma cosa sarebbe divenuto, Hugo? Un grande scrittore, un grande politico, questo è indubbio. Scelto l’esilio come atto di protesta dopo il colpo di stato di Napoleone III il 2 dicembre 1851, che avrebbe segnato la nascita del Secondo Impero, Hugo sarebbe divenuto il “padre della patria in esilio”, autentica icona degli ideali della Francia democratica. Avrebbe condotto una vita lunga e complicata, assistendo ai disastri della sconfitta di Sedan e della Comune di Parigi, tornando infine in patria, dove avrebbe concluso la sua vita nel 1885, acclamato da tutti i più grandi intellettuali del mondo.
Una vita, in ultimo, spesa a riformare la letteratura, segnando l’apogeo e la trasformazione del Romanticismo, e a prendere le difese degli ultimi, appoggiando la causa di tutti coloro che chiedevano libertà e giustizia, e adoprandosi al massimo per un ideale forse indistinto e vago, ma di cui Victor Hugo ha testimoniato la grandezza e la purezza: il bene dell’Umanità.
Eugenio Trovato