Con un linguaggio a volte violento a volte volgare, ma sicuramente schietto, Bukowski porta il lettore a vivere la quotidianità di Henry Chinasky, anzi Mr. Chinasky come lo chiamano i suoi superiori. Chinasky è un semplice postino. Un postino, per la verità un po’ po’ strano. Lavora su chiamata. Gli vengono assegnati orari di lavoro percorsi per la distribuzione della posta impossibili. Ma Chinasky ha una sua filosofia di vita. Gli piace bere, e beve tanto. Ma ciò non gli impedisce di rispettare gli orari e gli ordini impossibili che gli vendono assegnati. Chinasky ama bere, ciò gli dà un senso di libertà. Bere è la sua risposta al conformismo burocratico-istituzionle del Post Office, un ufficio federale. Chinasky, nel quale pare adombrarsi l’ombra dello stesso Bukowski, senza mezzi termini contesta i soprusi dei suoi superiori, anche quando riesce ad ottenere un impiego fisso. Pur se conduce una vita da sbandato, egli ha una sua dignità e difende ad ogni costo la sua aspirazione alla libertà. La sua vuol essere la contestazione di quegli aspetti che egli ritiene deteriori della società organizzata, società che egli identifica nel Post Office. Grande è la sua aspirazione alla libertà, così grande che dopo essere riuscito a far parte integrante del Post Office, arriva alla conclusione che l’unico modo per conquistarla effettivamente è quella di licenziarsi non solo dall’ufficio, ma anche metaforicamente dalla società. E lo fa a suo modo, bevendo una mezza pinta di scotch, fumando un mozzicone di sigaro e con lunga piacevole dormita. Scritto nel 1971, attraverso il scarno linguaggio Bukowski, descrive i lati oscuri di una società nella quale il sogno americano deve fare i conti con strati sempre più significativi di miseria e di emarginzione. Un bel libro nel quale la figura del postino Chinasky, pur se non certamente irreprensibile in tutti i suoi profili, finisce con essere simpatica.
Domenico Intini