La storia narrata dal mio conterraneo, Leonardo Sciascia, si svolge nella Sicilia degli anni ’30, quando il fascismo impera con le sue ideologie assurde e la violenza. Il protagonista di questa storia è il “piccolo giudice”, il quale deve presiedere un processo in cui l’imputato è accusato di triplice omicidio. Ma il problema non è che l’imputato abbia ucciso 3 persone, tra cui un esponente fascista! E’ ovvio che sarà condannato, ma dall’alto arriva l’ordine perentorio e poco mascherato di condannare l’imputato alla pena di morte. In fondo è il periodo in cui è possibile vivere con le “porte aperte”, in cui l’ordine regna rigido e sovrano. L’applicazione della pena di morte non farà altro che confermare questi principi! Ma “il piccolo giudice” non si lascia influenzare; a costo di rovinarsi la carriera in modo consapevole, non può andare contro ai propri principi. Ma servirà tutto questo? All’imputato certamente no, ma il giudice potrà vantare una coscienza pulita, seppur per sempre compromessa dalla paura. Come al solito, Sciascia racconta la sua Sicilia senza veli, ma lo stile narrativo che ha scelto è un po’ ostico e rende la lettura un po’ pesante. Pertanto, pur apprezzando sempre l’autore ed anche la storia nel suo complesso, non posso dire di essere rimasta particolarmente folgorata.

Anto Spanò