Pennablù : piccola storia buffa di Lorenzo Marone racconta di Totò, un pappagallo amazzonico di grande valore, dai colori sgargianti e delle dimensioni di un metro, che entra a far parte della famiglia Paglietta che vive in una bellissima residenza storica di Napoli.
Dopo aver svelato la sua incredibile dote oratoria (sa infatti leggere, parlare e ricordare meglio di tanti esseri umani!) che impiega soprattutto per commentare le partite a biliardo del suo padrone, la sua vita cambia. Totò riceve maggiori attenzioni, affetto e rispetto dal capo famiglia, Ciro Paglietta, ammirato e temuto da tutti. Dopo questo episodio, Ciro si fa vanto del suo amico pappagallo, portandolo in giro per il rione e tatuandosi la sua effigie su gran parte del torace, meritandosi il soprannome Pennablù. Ciro rispetta l’animale più dei suoi figli viziati e ignoranti e di sua moglie, opportunista sciocca.
La voce narrante è Pennablù che analizza quanto succede in casa, e soprattutto nello studio di Ciro, in modo molto lucido e intelligente, anche se a volte parziale (per forza, seppur istruitosi da autodidatta, rimane sempre un pappagallo!).
Dalla sua gabbia a 5 stelle, Totò assiste a piani macchinosi, segreti intricati e perfino un omicidio, per cui Totò (ovunque lui sia) ha ancora la nausea.
Il racconto, breve, scorrevole e con un linguaggio chiaro e apprezzabile anche ad un pubblico giovane, si snoda soprattutto tra i pensieri di Totò e le azioni di Ciro, tra teoria e pratica, tra riflessione e azione.
Ma se Totò intraprende un percorso dalle stalle alle stelle – come si suol dire – a Ciro Paglietta capita l’esatto opposto, perché il grande boss della camorra napoletana viene sorvegliato, indagato e catturato dalla polizia.
Il finale merita una duplice rilettura, perché il pappagallo dimostra un lato umano molto sagace e profondo quando ci induce a riflettere sul concetto di libertà, libero arbitrio e la forza di essere se stessi.
L’ironia sottile, che talora fa sorridere il lettore e fa approcciare il giovane lettore all’argomento “mafie”, è un ingrediente essenziale per sdrammatizzare la cruda realtà della malavita, ricordarne le vittime e tentare di arrestarne l’avanzata.
Irene Giacomelli