Una sconosciuta partorisce un bambino e poi muore: è questo l’inizio di Oliver Twist di Charles Dichens. Ma che fine fa quel bimbo? Viene accolto all’interno di una struttura gestita dalla parrocchia dove le parole “carità”, “affetto” e “assistenza” sono completamente sconosciute. I piccoli ospiti sono malmenati e ridotti alla fame e, spesso, muoiono di stenti o perchè non curati. Oliver però ha un carattere forte e, alla prima occasione, fugge e si dirige verso Londra. Purtroppo lì viene in contatto con una banda di ladri e messo anche lui sulla strada con lo scopo di effettuare piccoli e grandi furti sotto la direzione di un vecchio ebreo. Ma Oliver non è mai stato un ladro e non vuole diventarlo, si sottrae per ben due volte trovando la protezione di nobili persone. Dopo un mucchio di peripezie, il piccolo Oliver riesce a costruirsi una vita dignitosa e anche a ritrovare le sue origini. Questo è il secondo libro di Dickens che leggo. Come in “Grandi speranze”, anche qui l’autore si dilunga notevolmente sui fatti, ma contrariamente a quel libro, nel quale spiccava l’affascinante figura di Miss Havisham, qui, in Oliver Twist, non ci sono personaggi dal grande carisma, nemmeno lo stesso Oliver! E poi c’è un eccesso di coincidenze ed eventi concatenanti che solo nei romanzi possono accadere, che senz’altro caratterizza le opere di Dickens, ma, a volte, sono irritanti. Sicuramente una lettura che nella vita bisogna affrontare per colmare le lacune classiche, ma devo ammettere che mi sarei aspettata molto di più.
Anto Spanò