Non so perché ti consumi
per parole che non ho detto,
le lasciai con premeditata cattiveria
fuori dalla mia mente colpevole
di compassione manifesta.
Frughi fra gli abiti, in casa, per strada,
fra le nuvole sul pavimento,
che conosce i miei pensieri
e le tue ginocchia consapevoli e devote.
Mormorio convulso che ti perseguita
troppo, troppo dire, fai fatica ad ascoltare
questo incessante parlare di aranci in fiore
bordi informi di viali, via vai di ombre
caffè, giornali, sigarette distratte
voci accese, visite senza sorprese
macchine, sudari metropolitani,
sguardi sperduti
in qualche umanesimo mai rinato
dal ventre della rivoluzione erotica.
Cerchi obbedienza a gesti irripetibili
subliminali di parole non più pronunciabili,
cadute sulle tue dita umide.
E datemi silenzio, voi tutte ossessioni!
Implori libertà come panacea apocrifa
di rumori assassini
movenze di un labirinto
dove ti ho abbandonato reggendo il filo,
repliche abusate del mio segreto piacere
di costringerti ancora a dire
“sai di bellezza e maledizione”,
torturandoti occhi e labbra petulanti
con un sorriso d’assuefazione
e in bocca un dolce sapore
di mandorle amare.
Mirela Stillitano
da “L’amore immaginato, cantato alla luna”