Estate 1944. Mr. Cantor, Bucky, ebreo e insegnante di educazione fisica, si trova a combattere sul fronte americano, nella città di Newark, la sua guerra personale contro una gravissima epidemia di poliomelite, incoraggiando i suoi ragazzi a non farsi prendere dal panico e a condurre una vita il più possibile normale. E mentre in sinagoga si celebra il funerale di uno dei ragazzi del campo sportivo sotto la responsabilità del giovane insegnante, nel cuore di questi si apre la strada del dubbio su quel Dio crudele, capace di creare una malattia che colpisce in maniera così devastante proprio i bambini. Questo libro affronta il tema dell’inadeguatezza umana di fronte a ciò che non può essere controllato, alle calamità che si abbattono sul genere umano e per le quali è difficile trovare una ragione. Il protagonista è un giovane uomo, che fin dalla nascita ha dovuto fare i conti con il dolore e il lutto per una madre morta di parto e un padre in carcere, cresciuto dal nonno nel rispetto del dovere, un uomo “squadrato” fisicamente ed emotivamente, “una persona priva di umorismo, piuttosto efficace nell’esprimersi ma senza la minima traccia di arguzia, uno che mai in vita sua aveva parlato in termini satirici o con ironia, che di rado faceva una battuta o parlava in modo faceto: un uomo ossessionato da uno strenuo senso del dovere ma privo di una grande forza d’animo”. In questo spaccato dell’America degli anni ’40 sentiamo l’urlo solitario di quest’uomo, un grido straziante lanciato contro un cielo incapace di prestare ascolto, contro un Dio malvagio e crudele, un killer che “assassina i bambini a sangue freddo” che, quasi con ironia beffarda, utilizza quel cuore ribelle come dardo avvelenato. Con uno stile lineare e diretto come un pugno nello stomaco, Roth porta il lettore a riflettere, a porsi domande che ruotano intorno alla considerazione che “ogni biografia è guidata dal caso e, a partire dal concepimento, il caso – la tirannia della contingenza- è tutto”.
recensione di Patty Barale