Prima opera letteraria dello scrittore marchigiano, era infatti nato ad Urbino nel 1924, questo romanzo, edito nel 1962, letto oggi sembra possedere doti profetiche.
Vi è infatti già in nuce tutto il contrasto fra la fabbrica e l’operaio che vi lavora, fra la città e la campagna.
Questo dualismo, se certamente non è nuovo nella storia, non solo italiana ma di tutti i paesi industriali od in via di industrializzazione, raggiunge nel “Memoriale” forme così alte di allucinazione che occorrerà passino molti anni prima di essere comprese, non dico dalla maggioranza, ma almeno da una parte consistente dell’opinione pubblica.
Volponi non è contrario all’industria in sé e per sé, anche se non crede ai miti stakanovisti ed operaistici di certa sinistra comunista, ruderi ideologici sopravvissuti al naufragio degli ideali degli anni ’30-50 del Novecento.
Naturalmente ben si guarda d’altraparte di accettare la vulgata capitalista, piccolo- borghese ed individualista che le forze moderate tentano di imporre.
Per cui Albino, il protagonista, stretto fra la città di Torino e la campagna ove abita ed a cui ogni sera ritorna, fra la grande fabbrica (chiaramente la Fiat, anche se il suo nome non viene mai pronunciato) che schiaccia e disumanizza le persone ed il loro più intimo sentire, alla fine di un tormentato percorso, che è umano, ideale, politico, sindacale, religioso, in preda alla paranoia ed a manie di persecuzione, al limite dell’alienazione mentale, riemerge prepotentemente quando in ultimo intuisce che nessuno può arrivare in suo aiuto.
Fabio Morici