“Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un percorso di tre passi sul palato per battere, al terzo, contro i denti. Lo.Li.Ta.” Difficile. Difficile leggere questo libro, difficile interpretarlo, difficile recensirlo. La condanna dovrebbe essere scontata. Il narratore è un pedofilo affascinato da ragazzine tra e riesce a sedurne una, Lolita, verso la quale ha una vera e propria ossessione. Eppure, leggendo il testo, non si ha una continua repulsione nei confronti del protagonista (verso i suoi pensieri ovviamente sì). L’attrazione di Humbert per quelle che lui chiama “ninfette” è scabrosa, malata, riprovevole (anche se non sfocia mai in violenza), ma a un certo punto il lettore riesce a avvicinarcisi un po’ e, al contrario, a non sopportare Lolita che dovrebbe essere la vittima. La grandezza di Nabokov, e quindi del romanzo, è quella di essere riuscito a farci vedere la realtà da un altro punto di vista. In alcuni passi vorremmo rinchiudere in cella il protagonista e buttar via la chiave, ma in altri momenti lo scrittore ci costringe a non condannarlo e a non vederlo come il carnefice, pur essendo consapevoli della sua deviazione. Mi rendo conto che questa mia recensione possa essere un po’ controcorrente, ma io sono riuscita a ammirare la capacità di Nabokov di spostare i confini dell’opinione comune e di spingere a farci domande anche quando la situazione sembrerebbe ben chiara.

Alessandra Micelli

 

Libri di Vladimir Nabokov

Vladimir Nabokov

1899, Pietroburgo

Vladimir Vladimirovic Nabokov nacque da una famiglia della vecchia nobiltà russa che, dopo la rivoluzione del 1917, emigrò in Occidente. Completati gli studi a Cambridge, visse in Inghilterra, Francia e Germania, acquistando, con i suoi primi scritti in russo, sotto lo pseudonimo di «Sirin», vasta notorietà nell’ambiente dei suoi compatrioti emigrati. Nel 1940 si trasferì negli Stati Uniti, dei quali cinque anni dopo prese la cittadinanza. Da allora scrisse in inglese e tradusse in questa lingua alcune delle sue opere precedenti. Per undici anni insegnò Letteratura Russa alla Cornell University di Ithaca; negli ultimi anni visse in Svizzera, a Montreux, alternando l’attività letteraria alle sue appassionate ricerche di entomologo.
Preceduto da un esordio poetico, con liriche di stampo simbolista, nel 1926 uscì il suo primo romanzo, Masenka, cui seguirono: Re, donna, fante (1928), una parodia del romanzo tradizionale; La difesa (1929), una storia di scacchi, argomento prediletto da Nabokov per la sua carica metaforica; L’occhio (1930), vicenda quasi pirandelliana di un russo emigrato a Berlino; Camera oscura (1932), sulla falsariga di un poliziesco; l’enigmatico Gloria (1933); Invito a una decapitazione (1935), racconto di sapore kafkiano. Queste opere rivelano l’altissimo livello dell’«ibrido» culturale di Nabokov, che riesce a fondere temi e modi della letteratura russa (lo sdoppiamento esistenziale dostoevskiano, il grottesco gogoliano) con la raffinata consapevolezza dei mutamenti che, tra le due guerre, stavano rivoluzionando le forme e l’idea stessa del romanzo.
Il passaggio alla lingua inglese provocò un ulteriore approfondimento dell’intensa ricerca formale già in atto, così come il contatto con una diversa realtà sociale offrì nuove occasioni e verifiche al tema di fondo della narrativa di Nabokov: la frammentazione dell’identità individuale nella società contemporanea. Nacquero così La vera vita di Sebastian Knight (The real life of Sebastian Knight, 1941) e I bastardi (Bend Sinister, 1949); poi i romanzi di vita americana, primo fra tutti Lolita, che, pubblicato nel 1955 dall’Olympia Press di Parigi, rivelò improvvisamente a un pubblico mondiale il nome di Nabokov. Il romanzo, intriso di sperimentalismo «europeo», offriva nello stesso tempo una straordinaria immagine «interna» dell’America, con i suoi miti e con le sue ossessioni (soprattutto il sesso). Notevole fu la sua influenza sugli stessi narratori americani della nuova generazione (in particolare John Barth). Seguì Fuoco pallido (Pale fire, 1962), che tornando all’ambiente, già ironicamente esplorato in Pnin (1957), dei colleges americani (una realtà apparentemente decorosa ed efficiente, ma sotterraneamente ambigua e violenta), fornisce forse la prova più matura della maestria formale di Nabokov: dal tessuto lessicale alla stessa struttura narrativa che, muovendo da una duplice invenzione (un poema alla Pope e il suo dotto, tortuoso commentario), si scompone in un infinito gioco di specchi, allusione alla non-identità dell’arte e del suo artefice. Ada (Ada or ardor: A family chronicle, 1969) offre una sintesi suggestiva dell’arte di Nabokov. In questo romanzo tornano, stravolti da una scrittura ironicamente senile, le sue monomanie tematiche: la duplicità ambigua del reale, la passione del gioco, del puzzle, l’ossessione del sesso, qui spinto fino all’estremo narcisistico dell’incesto. Tra i racconti di Nabokov vanno citati quelli raccolti in La dozzina di Nabokov (Nabokov’s dozen, 1958) e in Quartetto di Nabokov (Nabokov’s quartet, 1967); tra i romanzi più tardi Cose trasparenti (Transparent things, 1973) e Guarda gli arlecchini! (Look at the arlequins, 1974). Parla, ricordo (Speak, memory, 1967), elogio della funzione preservatrice della memoria, è la ricerca autobiografica del passato russo cancellato dalla storia. Eccellente critico di letteratura russa, Nabokov è autore di uno splendido studio su Nikolaj Gogol’ (1944) e di una traduzione inglese, commentata, dell’Evgenij Onegin di Puskin. Altri saggi su scrittori europei dell’Ottocento e del Novecento sono stati raccolti postumi in Lezioni di letteratura (1980).
In Italia le sue opere appaiono presso Adelphi.

(dall’Enciclopedia della Letteratura Garzanti)