Questa rubrica del lunedì dedicata alle letture rapide, si pone come obiettivo di confutare il pregiudizio che il racconto sia un’opera minore rispetto al romanzo, destinata a chi a poco tempo o voglia di leggere, svago per chi non ha la possibilità di impegnarsi in una vera lettura.
Questo pregiudizio arriva a estendersi nei confronti degli autori: scriverne sembra far parte di una sorta di apprendistato, finito il quale se non si passa alla stesura di un’opera maggiore, non si può essere presi in considerazione.
Non è raro che di uno scrittore si siano letti solo i suoi romanzi e tralasciati tutti i racconti.
“Il principe felice” di Oscar Wilde è stata la prima lettura che ricordo di aver fatto da sola, in autonomia e senza l’ausilio di illustrazioni, ovvero la mia prima lettura da “adulta”.
Fa parte di una raccolta di favole, probabilmente lette anch’esse nella mia lontana infanzia, ma di cui non ne ho ricordo, come può capitare spesso per ciò che si legge. “Il principe felice” è rimasto invece nitido nella memoria, anzi, sarebbe più preciso affermare, anche se corro il rischio di dire troppo della storia, fuso con le cose belle del cuore, quelle che nulla riesce a portar via.
Lo scrittore lo scrisse per i figli, ma trattandosi di Wilde, l’intento non poteva ridursi al mero intrattenimento prima della buonanotte.
Si tratta di un piccolo gioiello di rara bellezza: la scrittura è quella stessa raffinata e decadente che ritroviamo nelle sue opere più famose, come l’attacco alla società vittoriana e alla sua ipocrisia che, seppur affievolito trattandosi di un opera destinata ai più piccoli, Wilde non desiste ad affondare, usando l’unica arma che ha e di cui è maestro: la scrittura.
Continua
(Per chi ha voglia di leggere questa “lettura rapida” è facile trovarne una versione in pdf gratuito).
C’è un’altra cosa che mi colpisce ancora e che mi colpì quando pochi anni più tardi lessi il Ritratto di Dorian Grey (piccola digressione: è solo una mia idea ma Dorian Grey è fra i classici preferiti dai giovani? Possiamo definirlo come una sorta di romanzo di formazione per futuri lettori?).
Sono sempre colpita dalle tragiche affinità del destino dello scrittore con la storia del suo personaggio più noto, anzi con il suo ritratto.
Uscito dal duro carcere inglese, dopo aver scontato una condanna di due anni ai lavori forzati per “gross public indecency – lorda indecenza”, così era definita all’epoca l’omosessualità, Oscar Wilde era irrimediabilmente cambiato. Non c’era traccia sul volto e nel fisico del fascino del dandy che per anni aveva sedotto il mondo intero, e che ancora ci seduce quando vediamo la sua figura aristocratica sulla quarta di copertina di un suo libro.
La condanna della società che per anni aveva ridicolizzato con la sua fine penna, sottolineandone l’ipocrisia, smascherando i falsi moralismi, lo aveva tramutato: era invecchiato, i denti fatti marci e i bei capelli caduti, proprio come era successo al ritratto di Dorian Grey.
Personalmente trovo più giusto e doveroso assimilare il destino di Oscar Wilde a quello del principe felice: come ogni grande scrittore qualsiasi cosa gli riservi il destino, anche quello di cadere in disgrazia, perdendo i favori del pubblico, nulla potrà mai distruggere il suo cuore, quello vero, quello che torna sempre a battere ogni volta che un nuovo lettore apre un suo libro e legge il pezzetto d’oro che ci ha lasciato in dono.
Sugli ultimi anni della vita di Oscar Wilde segnalo anche il film del 2018 scritto e interpretato da Rupert Everett intitolato “The happy prince – l’ultimo ritratto”.
Fine
Beatrice Maffei