“Noi siamo cinque fratelli. Abitiamo in città diverse, alcuni di noi stanno all’estero: e non ci scriviamo spesso. Quando c’incontriamo, possiamo essere, l’uno con l’altro, indifferenti o distratti, ma basta, fra noi, una parola. Basta una parola, una frase: una di quelle frasi antiche, sentite e ripetute infinite volte, nel tempo della nostra infanzia. [….] Una di quelle frasi o parole, ci farebbe riconoscere l’uno con l’altro, noi fratelli, nel buio d’una grotta, fra milioni di persone.” Il titolo racconta perfettamente il libro intero: un romanzo autobiografico che parte dal “lessico”, dalle parole, della famiglia della scrittrice per raccontarne la storia. I Levi sono una famiglia ebrea antifascista e nel libro vengono narrate le loro vicende, avvenute tra gli anni Trenta e Cinquanta. Il racconto però non viene trattato in maniera epica o romanzesca: lo stile è quello della narrazione verbale, quello dei nostri nonni che potrebbero usare parlando dei vari membri della propria famiglia. Ogni parente della Ginzburg viene descritto attraverso i suoi modi di dire, attraverso le sue abitudini e, solo alla fine, attraverso ciò che gli è accaduto nel periodo del fascismo. La voce narrante, che è poi la scrittrice stessa, racconta la propria famiglia dal suo personale punto di vista, quello della sua memoria. Nonostante sia un libro testamento, in cui Natalia racconta con leggerezza avvenimenti storici importantissimi e descrive (perché li ha conosciuti direttamente) personalità del calibro di Olivetti, Turati, Pavese, ecc… non ne sono rimasta completamente coinvolta! In varie parti è molto lento e forse proprio questo genere di narrazione verbale un po’ tipica della “vecchia generazione” non è riuscita a emozionarmi (non me ne vogliate).
Alessandra Micelli