Una commedia poco conosciuta, addirittura mai rappresentata in Italia fino al 2015, che invece meriterebbe il giusto spazio tra i capolavori del neorealismo. L’ambientazione è quella “esposizione universale” del titolo, concepita come sogno di gloria italiano e trasformatasi presto nel simbolo del fallimento: un mucchio di palazzi incompleti, ricovero di centinaia di sfollati; e sono proprio loro, gli sfollati, i protagonisti di questo dramma. Il loro piccolo mondo misero è lo specchio dell’Italia del dopoguerra, ogni personaggio ne rappresenta una delle tante anime: i rassegnati, gli arrabbiati e ovviamente gli approfittatori. Tutti però sono accomunati da un senso di sconfitta e di impotenza, che sfocerà in un finale tragico e amarissimo. Non si salva nessuno in quest’opera (figurativamente e non) e non c’è una morale o un messaggio: è semplicemente uno spaccato lucido ed impietoso dell’umanità all’indomani della guerra, ritrovatasi in un mondo pieno di macerie (di nuovo figurativamente e non). Lo stile è colloquiale e nei primi due atti ogni tanto assume quasi i modi della commedia, è solo nel terzo che i toni si incupiscono ed il ritmo si fa serrato. Ho scoperto questa perla nascosta e me ne compiaccio, nel mio piccolo cercherò di consigliarla a tutti gli amanti del buon teatro.
Giulia Pontecorvo