Mi accade coi romanzi di Simenon quello accade con un buon vino,ne conosci la qualità e decidi di gustarlo piano piano,di centellinarlo,di prolungare il piacere,ma ,vinto dalla delizia,alla fine lo tracanni
con ingordigia (Non fatevi idee sbagliate, non sono un alcolizzato).È il caso di questo “nettare” di romanzo che il grande scrittore belga annoverava tra i suoi preferiti,storia che si dipana a partire dalla fine dell’Ottocento fino ad arrivare al secondo dopoguerra,ambientata nella Parigi della povera gente,dove il progresso arriva piano piano,prima il gas,poi l’elettricità,la metropolitana,ma le condizioni di vita di quest’ umanità brulicante che si barcamena, si danna solo per riuscire a sopravvivere,sembra non trarne alcun beneficio.Argomento già affrontato da Cèline in “Morte a credito”,ma a differenza dello scrittore francese che non nutriva nessuna fiducia nell’umanità,per lui comunque condannata alla disperazione e all’infelicità, Simenon riesce a tracciare un ritratto sereno di una persona che il caso,o il destino per chi ci crede, fa nascere con in mano le carte sbagliate,nell’indigenza,in una famiglia numerosa,quasi mostruosa,e con un carattere docile,serafico, che lo rende oggetto e vittima dei prepotenti:Louis,l’angioletto del titolo,appunto,che nonostante tutto riesce a conservare il suo candore,a non marcire come i suoi fratelli,ed a rimanere un “ragazzino felice” fino a tarda età, anche quando sarà diventato un pittore ricco e famoso.
Marco Meret