Aldo e Vanda si sono sposati negli anni ’60 quando erano ancora molto giovani, un po’ per desiderio d’indipendenza e un po’ per cercare di creare la famiglia tipo, quella in cui i legami rimangono forti per tutta la vita. Ma la realtà è diversa dai sogni e dalle speranze! Ad un certo punto Aldo si innamora di una giovane studentessa, vuole vivere questo nuovo ed improvviso sentimento senza il laccio che lo lega alla famiglia. Per quattro lunghi anni si trascina questa situazione di incertezza: mentre Vanda si dispera e recrimina, Aldo si divide tra Napoli e Roma per continuare a frequentare i figli, ma questi man mano diventano degli estranei dai quali è più facile allontanarsi. Poi il senso di colpa e la fine della storia con l’amante fanno sì che l’uomo ritorni in famiglia e ci resti. Si riprende la routine e questa routine dura per altri 30 anni. Ma non è una famiglia, è solo un insieme di persone che stanno nella stessa casa, che non si capiscono, che cercano di stare insieme per abitudine, senza un affetto sincero a legarli e soprattutto tanti silenzi e segreti a dividerli ancora e ancora… Questa storia è raccontata da tre voci diverse. Inizia Vanda che, nel culmine della crisi familiare soffre e accusa; si prosegue poi con il racconto di Aldo che ricorda e rimpiange l’amore perduto ed infine i due figli, ormai adulti e scombinati che non hanno imparato ad amare, ma solo a fingere. Un bel libro, che trasmette, però, un senso di claustrofobia, una mancanza di libertà rimpianta da tutti i protagonisti che si ostinano a perseverare nell’errore e a rimanere passivi di fronte ai lacci che imbrigliano le loro vite.
recensione di Anto Spanò