Ho avuto la fortuna di partecipare alla presentazione di questo romanzo durante una manifestazione culturale organizzata nella mia città. Vi confesso che ne sono rimasta veramente estasiata; avrei ascoltato Matteo per ore. Grazie a lui mi sono immersa nei luoghi del libro attraverso la sua voce e voglio fargli i miei più vivi complimenti perché oltre ad essere un bravissimo scrittore è anche un ottimo relatore. Questo romanzo è ambientato nel 1954, ma tratta una storia che sarebbe potuta accadere in diversi altri anni. Parla di gente di montagna, aspra, dura, abituata alla fatica, in un mondo arcaico dove la severità la fa da padrone. Il protagonista della storia è Giacomo Nef, un bambino orfano che insieme a suoi fratelli viene cresciuto dai nonni. Giacomo si scontra già da bambino con la dura vita: il nonno, una persona terribile, lo percuote puntualmente, lasciandogli segni indelebili ogni qual volta che lui non segue le sue regole. Ciò non è tutto perché, non contento, lo rinchiude anche a chiave nella stanza delle mele selvatiche. In questo posto che dovrebbe essere il luogo di punizione, a Giacomo nasce l’amore per la scultura, infatti qui di nascosto intaglia il legno creando dei piccoli capolavori. Una sera durante un tremendo temporale, il bambino viene mandato dal nonno nel Bosch Negher, un luogo suggestivo a recuperare un arnese dimenticato la mattina, mentre i tuoni rimbombano. Alla luce di un lampo, vicino all’attrezzo, scopre il cadavere di un uomo appeso ad un albero e preso dalla paura fugge via. Per tutta la sua vita Giacomo cercherà di sciogliere questo mistero che sembra legato alla vita di questa gente di montagna che crede ai detti popolari e alle superstizioni legate a quei luoghi. Un romanzo emozionante scandito dai ritmi della montagna, dove l’arte riuscirà ad essere uno spiraglio di luce per la vita di questo ragazzo. Buona lettura!
Giusy Aloe