Questo libro mi ha permesso di colmare alcune lacune relative alla fuga dei criminali di guerra nazisti dopo la seconda guerra mondiale. Sapevo che il Sudamerica era stato il rifugio di molti di loro ma non sapevo quanta parte avessero avuto i regimi politici nazionali non solo nell’accogliere questi personaggi ma anche nel favorirne quell’anonimato che ne avrebbe permesso un’esistenza libera e agevole per molti anni. Il tutto mentre flussi ingenti di denaro arrivavano dalla Germania per corrompere politici e accrescere il benessere degli industriali tedeschi che erano usciti indenni e ricchi dalla guerra perché vicini al regime nazista. Questo romanzo parla in particolare della sorte di Josef Mengele, altrimenti conosciuto come l’Angelo della morte. Dettagliata e notevole la descrizione delle sofferenze fisiche e psicologiche di Mengele successivamente all’inizio dei processi più importanti, sofferenze dovute al senso di pericolo imminente e inevitabile, alla solitudine e alla lontananza dalla propria famiglia, all’assenza di distrazioni alla sua “altezza”. Notevole anche l’incontro finale fra Mengele e suo figlio Rolf e il tentativo di quest’ultimo di capire se il padre provava qualche rimorso per ciò che aveva fatto ad Auschwitz

Simona Fedele