Davvero molto brava l’autrice che ci racconta la storia di una mamma e di una figlia, senza tentativi di giustificazioni per gli errori commessi e senza “censure” di pensieri, siano essi belli o brutti. Il titolo è forse un po’ ingannevole. La “cattiva figlia” del titolo non è poi così cattiva, è solo alle prese con le responsabilità, gli impegni di lavoro, un matrimonio fallito, i figli e il disperato bisogno di libertà. La situazione è resa difficile dal rapporto con la madre, un rapporto fatto da sempre di incomprensioni, di lontananza, di differenze generazionali e di modi di pensare. Questo rapporto già complesso, peggiora quando la madre, rimasta sola, ha bisogno di attenzioni e di compagnia prima, e di assistenza dopo. Le due donne si ritrovano a convivere sempre più spesso, ma con l’età che avanza, è risaputo, si diventa capricciosi, egoisti, incapaci di andare incontro alle esigenze delle persone che si amano. La “cattiva figlia” si sente in qualche modo oppressa, chiusa in una gabbia, bisognosa di una boccata d’aria ed è sempre e costantemente pronta ad attaccare, anche quando sarebbe superfluo. Nonostante ciò cerca di essere presente ogni volta che la mamma ha bisogno, cerca di trovare delle soluzioni alternative, ma spesso non si lascia commuovere. In particolar modo accusa la madre di passività, di essersi arresa, di invocare la morte. Ad un certo punto vuole cercare di capire la donna che l’ha messa al mondo, indagare sul momento in cui si sono allontanate, riuscire a stabilire se vi siano stati errori e soprattutto chi li abbia commessi. Si fa pertanto raccontare tutto, lascia che la donna, parlando a ruota libera, ricordi episodi della sua giovinezza e dell’età adulta, aneddoti familiari, i problemi con il marito, con il padre e anche quelli economici che l’hanno accompagnata durante buona parte della sua vita. E’ un viaggio insieme fino all’inevitabile conclusione!
Anto Spanò