Volevo leggere questo romanzo sin da quando ne ho scoperto l’esistenza, leggerlo è stato un pugno allo stomaco ma non mi ha saziata come avrei voluto. Sveva è una giornalista che si trova a Berlino, e proprio qui fa la conoscenza di un’arzilla ma imprevedibile vecchietta che la prega di scrivere le sue memorie. Inizia qui il lungo racconto di Frau Kiesel: del suo fidanzamento con Uwe, l’essersi macchiata di Judenhure, ovvero mescolanza della razza ariana con quella ebraica, la deportazione prima al campo di Ravensbruck e poi a Buchenwald. Quando un giorno i comandanti chiedono chi tra quelle donne con ancora un minimo di parvenza femminile sia disposta a lavorare al Sonderbau, uno dei pochi bordelli che il regime nazista aprì in alcuni campi di concentramento, Frau dice di sì: gli era stato promesso, con l’inganno, che in cambio di sei mesi di servizio, sarebbero state rilasciate. Il suo è quasi monologo, interrotto dalle molte domande di Sveva; i bordelli restano ancora un fatto storico poco conosciuto e considerato tabù, e le donne considerate come colpevoli e non come vittime, motivo per cui ancora si sa poco. Nota dolente: la fine un po’ troppo precipitosa, Frau Kiesel interrompe quasi all’improvviso i suoi ricordi lasciandoti un po’ l’amaro in bocca, anche perché ci sono pochissimi libri simili. In ogni caso, per i fortunati che hanno il libro o riescono a reperirlo, resta un libro da leggere perché offre “una testimonianza di come il senso dell’umano era stato violato durante il regime di Hitler; di come il valore assoluto della vita e della dignità dell’individuo era stato brutalmente calpestato dai nazisti”.
Luana Indelicato