PIOGGIA DI SETTEMBRE
Le gru rigano lente il cielo,
più avido è il grido dei corvi;
e il primo tuono rotola improvviso
tra gli scogli lividi delle nuvole,
spaurisce tra gli alberi il vento.
La pioggia avanza come nebbia,
urlante incalza il volo dei passeri.
Ora scroscia sulla vigna, tra gli ulivi;
per la rabbia dei lampi preghiere
cercano le vecchie contadine.
Ma ecco un umido sguardo azzurro
aprirsi nel chiuso volto del cielo;
lentamente si allarga fino a trovare
la strabica pupilla del sole.
Una luce radente fa nitido
Il solco dell’aratro, le siepi s’ingemmano;
tra le foglie sempre più rade
splende il grappolo niveo dei pistacchi.
Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) è stato uno scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico, critico d’arte e insegnante italiano. Viene riconosciuto come uno dei scrittori, poeti, inseganti e saggisti più importanti del 900, scrivendo autentici capolavori nella vita siciliana dell’epoca da fattori mafiosi e vita di tutti i giorni, seguendo il relativismo conoscitivo di Luigi Pirandello, come i romanzi Il giorno della civetta, Il consiglio d’Egitto, A ciascuno il suo, Una parodia, Todo modo, Candido, ovvero Un sogno fatto in Sicilia, La strega e il capitano, Porte aperte, Una storia semplice, i saggi: La scomparsa di Majorana, I pugnalatori, L’affaire Moro, Dalle parti degli infedeli, Fatti diversi di storia letteraria e civile, A futura memoria (se la memoria ha un futuro), e molti altri come anche testi teatrali e sceneggiature. Sciascia fu attivo anche in politica e fu iscritto al Partito Comunista Italiano, poi per quello Radicale, e per il Partito Socialista. L’8 gennaio del 1921 nasceva a Racalmuto, Leonardo Sciascia da Pasquale Sciascia, e di una casalinga, Genoveffa Martorelli. Muore il 20 novembre del 1989 a Palermo a causa di una malattia renale.
L’autobus stava per partire, rombava sordo con improvvisi raschi e singulti. La piazza era silenziosa nel grigio dell’alba, sfilacce di nebbia ai campanili della Matrice: solo il rombo dell’autobus e la voce del venditore di panelle, panelle calde panelle, implorante e ironica. Il bigliettaio chiuse lo sportello, l’autobus si mosse con un rumore di sfasciume. L’ultima occhiata che il bigliettaio girò sulla piazza, colse l’uomo vestito di scuro che veniva correndo; il bigliettaio disse all’autista “un momento” e aprì lo sportello mentre l’autobus ancora si muoveva. Si sentirono due colpi squarciati: l’uomo vestito di scuro, che stava per saltare sul predellino, restò per un attimo sospeso, come tirato su per i capelli da una mano invisibile; gli cadde la cartella di mano e sulla cartella lentamente si afflosciò.
“Incipit, Il giorno della civetta”