Mattino alla finestra
Sbattono piatti da-colazione nelle cucine del seminterrato.
E lungo i marciapiedi che risuonano di passi
Scorgo anime umide di donne di servizio
Sbucare sconsolate dai cancelli che danno sulla strada.
Ondate brune di nebbia levano contro di me
VoltI contortI dai fondo della strada,
Strappano a una passante con la gonna inzaccherata ta
Un vacuo sorriso che s’alza leggero nell’aria
E lungo il filo dei tetti svanisce.
“T. S. Eliot” Thomas Stearns Eliot (Saint Louis, 26 settembre 1888 – Londra, 4 gennaio 1965), è stato un poeta, saggista, critico letterario e drammaturgo statunitense naturalizzato britannico. Viene riconosciuto come uno dei poeti e drammaturghi statunitensi più importanti tra l’800 e il 900 scrivendo opere come Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, La terra desolata, Gli uomini vuoti, Ash Wednesday, Quattro quartetti, Assassinio nella cattedrale e Cocktail Party. Vinse il Premio Nobel per la letteratura nel 1948. Il 26 settembre del 188 nasceva a Saint Louis, T. S. Eliot da Henry Ware Eliot e Charlotte Champe Stearns. Muore il 4 gennaio del 1965 a Londra.
Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock
S’io credessi che mia risposta fosse
a persona che mai tornasse al mondo,
questa fiamma staria senza più scosse.
Ma per ciò che giammai di questo fondo
non tornò vivo alcun, s’i’odo il vero,
senza tema d’infamia ti rispondo.
Andiamo dunque, tu e io,
quando la sera è stesa contro il cielo
come un paziente anestetizzato sul tavolo;
andiamo, per certe strade semideserte,
rifugi borbottanti
di notti inquiete in locande da una notte
e ristoranti con segatura e gusci d’ostrica:
strade che seguono come una discussione noiosa
dall’intenzione insidiosa
per condurti a una domanda ineluttabile…
No, non chiedermi qual è.
Andiamo piuttosto, facciamo la nostra visita.
Le donne vanno e vengono nei salotti
parlando di Michelangelo Buonarroti.
La nebbia gialla che si gratta la schiena alle finestre,
il fumo giallo che si gratta il muso ai vetri delle finestre,
leccò con la lingua gli angoli della sera,
indugiò sulle pozzanghere negli scolatoi,
si lasciò cadere sul dorso la fuliggine dei camini,
scivolò accanto al terrazzo, fece un balzo improvviso,
e visto che era una tiepida sera d’ottobre,
si raggomitolò una volta intorno alla casa, e si assopì.
E in effetti ci sarà tempo
per il fumo giallo che scivola lungo la strada
grattandosi il dorso ai vetri delle finestre;
ci sarà tempo, ci sarà tempo per preparare
una faccia per incontrare le facce da incontrare;
ci sarà tempo per uccidere e creare
e tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
che alzano e depongono una domanda sul tuo piatto;
tempo per te e tempo per me,
e ancora tempo per cento indecisioni,
e per cento visioni e revisioni,
prima di prendere un toast col tè.
Le donne vanno e vengono nei salotti
parlando di Michelangelo Buonarroti.
E in effetti ci sarà tempo
per chiedersi: «Avrò il coraggio?» e poi: « Avrò il coraggio?»,
tempo per voltarsi e scendere le scale,
con una chiazza calva in mezzo ai miei capelli…
( Diranno: « Come si sono diradati i suoi capelli! ».)
La giacca del mattino, il colletto inamidato fino al mento,
la cravatta ricca e discreta, ma esaltata da una spilla…
( Diranno: « Come sono sottili le sue gambe e braccia!».)
Avrò il coraggio .
di disturbare l’universo?
In un minuto c’è tempo
per decisioni e revisioni che un minuto rovescerà.
Poiché li ho conosciuti tutti, conosciuti tutti:
conosciuto i pomeriggi, i crepuscoli, i mattini,
ho misurato la mia vita a cucchiaini;
conosco le voci che muoiono d’un lento morire
sotto la musica da una stanza più lontana.
Dunque come potrei presumere?
E ho conosciuto tutti gli occhi, li ho conosciuti tutti…
gli occhi che ti fissano in una frase formulata,
e quando sono formulato, schiacciato sotto l’ago,
quando infilzato mi contorco contro il muro,
allora come potrei cominciare
a sputar fuori tutti i mozziconi dei miei giorni e modi?
E come potrei presumere?
E ho conosciuto tutte le braccia, le ho conosciute tutte…
braccia con catenelle e bianche e nude
(ma nella luce di una lampada, la lieve peluria bruna!)
E forse il profumo di un vestito
che mi fa perdere il filo?
Braccia posate su un tavolo, o strette intorno a uno scialle.
E allora dovrei presumere?
E come dovrei cominciare?
Dirò dunque: ho camminato al crepuscolo per vie strette
e ho guardato il fumo che usciva dalla pipa
di uomini solitari in maniche di camicia
affacciati alle finestre?.. ,
Avrei dovuto essere un paio di ruvide pinze !
trascinate sul fondo di mari silenziosi.
E il pomeriggio, la sera, dorme tanto pacatamente!
Lisciata da lunghe dita,
Addormenta!a… stanca:.. o vuoI sembrare sfinita,
stesa sul pavimento, quI accanto a te e me.
Dovrei forse, dopo il tè il gelato e i dolci,
avere l’energia di pretendere una resa dei conti?
Ma per quanto io pianga e digiuni, pianga e preghi,
per quanto io veda la mia testa (divenuta un po’ calva)
introdotta su un vassoio,
non sono però un profeta… e la cosa importa poco;
ho visto il momento della mia grandezza tremolare,
e ho visto l’eterno Lacchè porgermi la giacca, e ammiccare,
e, in breve, ebbi paura.
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
dopo le tazze, la marmellata, il tè,
fra le porcellane, fra i discorsi di me e te,
ne sarebbe valsa la pena,
di troncare netto la cosa con un sorriso,
di avere schiacciato l’universo in una palla
da rotolare verso qualche domanda ineluttabile,
di dire: «Sono Lazzaro, tornato dai morti,
tornato per dirvi tutto, io vi dirò tutto»…
se una, accomodandosi un cuscino sotto la testa,
avesse detto: «Questo non lo volevo dire affatto.
Questo non è il punto, affatto».
E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
ne sarebbe valsa la pena,
dopo i tramonti e i cortili e le strade spruzzate,
dopo i romanzi, dopo le tazze di tè,
dopo le sottane che scivolano sul parquet…
e questo, e tante tante altre cose?..
È impossibile dire esattamente ciò che penso!
Come se una lanterna magica proiettasse i nervi in
combinazioni su uno schermo…
Ne sarebbe valsa la pena
se una, accomodandosi un cuscino o deponendo unofcialle,
e voltandosi verso la finestra, avesse detto:
«Questo non è il punto, affatto,
Questo non lo volevo dire, affatto».
…
No! Non sono Amleto, né dovevo esserlo;
semmai un nobile del seguito, uno che va bene
per rimpolpare un passaggio, iniziare una o due scene,
consigliare il Principe; facile da usare, certamente,
contento di essere utile, deferente,
calcolatore, cauto e meticoloso;
pieno di frasi altisonanti, ma un po’ ottuso;
a volte, in effetti, quasi ridicolo…
quasi, a volte, il pagliaccio.
Sono invecchiato… invecchiato…
Porterò il risvolto dei calzoni arrotolato.
Mi farò una scriminatura ai capelli, dietro?
Ho il coraggio di mangiare una pesca?
Indosserò calzoni di flanella bianca,
e passeggerò lungo la spiaggia.
Ho udito le sirene che cantavano, l’una all’altra.
Non penso che canteranno a me.
Le ho viste cavalcare le onde verso il largo
pettinando i capelli bianchi delle onde spinti indietro
quando il vento increspa l’acqua bianca e nera.
Abbiamo indugiato nelle camere del mare
presso ninfe inghirlandate d’alghe rosse e brune
finché svegliati da voci umane, per annegare.