Questa vicenda narrata da Luis Sepulvéda è ambientata ai margini della foresta equatoriale. E’ lì, infatti, che vive il vecchio Josè Antonio Bolivàr, protagonista di questa storia. Il vecchio ha alle spalle una lunga e travagliata storia personale: sposato in giovanissima età, lascia la sua terra natìa per dirigersi verso quella parte di foresta ormai disboscata per far posto all’uomo. Lì si stabilisce e lavora per un po’, poi la moglie muore e dopo aver rischiato lui stesso la vita, si unisce alla tribù che lo ha salvato e curato. Dagli uomini della tribù impara a cacciare e a muoversi agilmente in mezzo alla fitta foresta tropicale. Ad un certo punto sente di appartenere alla tribù, ma non è così. Infatti dopo aver violato una delle consuetudini di questa popolazione “primitiva”, viene allontanato. Ed è allora che ritorna nel paesino ai margini della foresta e, per puro caso, scopre di saper leggere e si appassiona agli struggenti romanzi d’amore che il dentista gli procura. Ma un giorno cominciano ad essere ritrovati dei morti, assassinati da un tigrillo, animale selvatico che vive nell’intricata foresta. E comincia una lunga caccia…. L’inizio di questo libro è decisamente accattivante, i personaggi sono uno più pittoresco dell’altro e il rapporto del vecchio con la lettura, il racconto del suo viaggio per andare alla ricerca del genere che più lo appassiona, il modo di leggere e rileggere le frasi per comprendere tutto pienamente, mi hanno conquistata. Pertanto ho letto con passione fino ad un certo punto. Poi, infatti, la storia si tramuta in un libro d’avventura e, lo ammetto con franchezza, non ho affatto gradito il cambiamento repentino. Io volevo saperne di più del vecchio e dei suoi libri!
Anto Spanò