“Nell’oggetto, insomma, noi amiamo quello che vi mettiamo di noi, l’accordo, l’armonia che stabiliamo tra esso e noi, l’anima che esso acquista per noi soltanto che è formata dai nostri ricordi.”
Per me “Il fu Mattia Pascal” è una rilettura: lo avevo letto nel 2007 durante il liceo e ho deciso di “riprenderlo” approfittando di un gruppo di lettura. Pirandello va letto e riletto a diverse età, ogni volta con lo stesso obiettivo: aver voglia di perdere qualsiasi certezza. Pirandello è la relatività fatta autore, per lui tutto dipende dal punto di vista, ogni verità è tale solo per colui che crede in essa. La sua opera è insomma una delle rappresentazioni più eclatanti della crisi dell’uomo del ‘900 che con la perdita dei valori e delle certezze (si vedano le teorie di Einstein e di Freud), perde anche la sua identità. Sicuramente “Il fu Mattia Pascal” è uno dei manifesti di questa crisi e anche della poetica di Pirandello. Qui lui palesa la teoria del lanternino che spiega come il mondo venga visto con una sfumatura di colore diverso a seconda di chi lo guarda; qui lui racconta l’alienazione e la crisi di identità dell’uomo moderno. È un’opera magnifica proprio come il suo autore. Pirandello, amato da tutti gli studenti e non solo, ha contribuito al cambiamento del pensiero dell’uomo e i suoi personaggi (non solo quelli in cerca d’autore), come Mattia, pur non sapendo loro stessi chi siano ma anzi proprio per questo, saranno ricordati in eterno.
Alessandra Micelli