La lucciola
Una povera Lucciola, una notte,
pijò de petto a un Rospo in riva ar fiume
e cascò giù coll’ale mezze rotte.
Ar Rospo je ce presero le fótte.
Dice: – Ma come? Giri con un lume
eppoi nemmanco sai
dove diavolo vai?
La Lucciola rispose: – Scusa tanto,
ma la luce ch’io porto nu’ la vedo
perché ce l’ho de dietro: e, in questo, credo
che c’è stato uno sbajo ne l’impianto.
Io dove passo illumino: però
se rischiaro la strada ch’ho già fatta
nun distinguo la strada che farò.
E nun te dico quanti inconvenienti
che me procura quela luce interna:
ogni vorta che accènno la lanterna
li Pipistrelli arroteno li denti…
Capisco, – disse er Rospo – rappresenti
la Civirtà moderna
che per illuminà chi sta all’oscuro
ogni tantino dà la testa ar muro.
“Trilussa” Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri (Roma, 26 ottobre 1871 – Roma, 21 dicembre 1950), è stato un poeta, scrittore e giornalista italiano. Viene considerato come uno dei poeti italiani, e per via della sua scrittura in dialetto romanesco più importanti di sempre. Le sue poesie e favole furono più che altro basato sulla satira politico-sociale, commentando in romanesco e non quasi cinquant’anni di storia, dalla guerra al dopo guerra, descrivendo anche i classici momenti della vita, come malinconia, vecchiaia, amore, e anche i paesaggi del crepuscolo. Trilussa collaborò anche con vari periodici dell’epoca, come Il Ficcanaso e molti altri. Il 26 ottobre del 1871 nasceva a Roma, Trilussa (Carlo Alberto Camillo Mariano Salustri) da Vincenzo Salustri e Carlotta Poldi. Muore il 21 dicembre del 1950 lo stesso giorno di Giuseppe Gioachino Belli, altro grande poeta romano.
C’era una vorta un celebre Buffone
che se beccava cento scudi ar mese
pe’ tené alegro er Re d’una nazzione:
er Re rideva, e er popolo minchione
piagneva su li conti de le spese.
Un ber giorno, però, fu licenziato.
— Come sarebbe a di’? Me cacci via?
— chiese er Buffone — E quanno m’hai cacciato
chi farà divertì la monarchia?
chi farà ride er capo de lo Stato? —
Er Sovrano rispose: — Per adesso
me basta quer partito intransiggente
che me combatte cór venimme appresso
e me s’alliscia rispettosamente…
Tu nun me servi più: rido lo stesso!