“Se hai avuto la fortuna di vivere a Parigi da giovane, dopo, ovunque tu passi il resto della tua vita, essa ti accompagna perché Parigi è una festa mobile”
Ernest prima di diventare l’Hemingway che tutti conosceremo ci accompagnerà nella Parigi degli anni 20, luogo scelto dall’allora venticinquenne giornalista squattrinato per vivere assieme alla sua prima moglie Hadley.
In un flusso senza soluzione di continuità (o quasi) vivremo i suoi periodi più felici, attraverso i suoi occhi, i suoi pensieri e le sue esperienze, conosceremo una parte del fermento artistico dell’epoca, faremo la conoscenza della poetessa e “madrina” di tanti scrittori, Gertrude Stein (la quale, per prima, consiglierà a Hemingway di mollare il giornalismo per dedicarsi alla sola scrittura), ci intratterremo con Ezra Pound, lo scrittore inglese Ford Madox Ford e James Joyce ma soprattutto vivremo la sincera amicizia che lo legó a Francis Scott Fitzgerald (con cui “condivideremo” anche il racconto di un tragicomico viaggio a Lione assieme proprio ad Hemingway per recuperare l’auto in panne del primo) e poi visiteremo gli ippodromi parigini di Auteuil ed Enghien per scommettere, passeggeremo sulla Senna con i suoi Bouquinistes o nei pacifici giardini del Luxenbourg, ci intratterremo nei Cafè di seconda mano, nei Bistró e negli umili ristoranti, tutti luoghi “vissuti” da Hemingway per lavorare e ci sposteremo, ma solo alla fine, in Austria per alcuni ricordi invernali dello stesso e per un finale dal sapore, in parte, amaro.
“Festa mobile”, uscito postumo nel 1964, non è un romanzo ma una bellissima raccolta di memorie, quasi un lascito testamentario (Hemingway morirà pochi mesi dopo averl concluso questo lavoro pur avendoci lavorato e rilavorato per anni sin dal 1957) che vuole raccontare gli anni che vanno dal 1921 al 1926.
Con una scrittura fluida, semplice e priva di manierismi, Hemingway ci rende partecipi di una parte della sua vita nella Ville Lumiere, spaccati, flash, istantanee di sue esperienze e ricordi che in maniera vivida investono il lettore.
Leggendo queste pagine parrà quasi di essere seduti al tavolino di uno dei tanti Cafè parigini fianco a fianco di Hemingway con cui si stanno facendo due chiacchiere.
In ogni capitolo l’autore è riuscito a trasmettere le sensazioni, le atmosfere, i suoni e in certi casi anche gli odori di una Parigi purtroppo sparita, un ritratto ad acquerello ma a volte anche molto duro, della vita (in certi casi bohemien) e del fermento artistico, delle contraddizioni e dei dolori dei tanti artisti che lì avevano casa in quegli anni.
Un libro di cui non se ne vorrebbe mai la fine, semplicemente magnifico ed utile per capire un pó di più del premio Nobel del 1954.
Voto: 📚📚📚📚📚 su 5
Marco Beneventi