“Febbre” è la storia di Jonathan, l’autore del romanzo, nato e cresciuto a Rozzano, alla periferia di Milano, dove i casermoni popolari si susseguono senza sosta e la povertà li riempie impietosa.

Un giorno a Jonathan viene la febbre, una febbre strana, che lo sfianca e lo stordisce, e sembra non passare mai.

Inizierà un lungo percorso diagnostico che lo porterà a scoprire di avere contratto l’HIV, una malattia che ancora oggi spaventa, persino Jonathan stesso, che a tratti attribuisce i suoi disturbi a un male più alto e peggiore, come fosse condannato a una morte violenta e prematura.

È attraverso il percorso di accettazione della sua malattia che Jonathan ci fa conoscere la sua infanzia, la sua famiglia disastrata, presentandosi al lettore senza scudi né armature e esponendosi al suo giudizio senza timori.

Il libro è scorrevole e ben scritto e, fino al 70%, ho trovato che fosse anche parecchio avvincente.
In seguito, a mio parere, si perde un po’ di mordente.
Il testo diventa un susseguirsi di ipocondrismi esasperati e scelte di vita che non sempre sono riuscita ad approvare.
La mia incapacità di sospendere completamente il giudizio mi ha fatta sentire colpevole, visto che ho trovato davvero apprezzabile il fatto che l’autore si sia esposto in maniera totale e incondizionata.

Eppure qualche volta non sono riuscita a evitare di storcere il naso, avendo attraversato, come lui, diverse esperienze famigliari disastrose: a volte, quando i lamenti diventavano una specie di litania costante, la voglia di scuoterlo e dirgli di darsi una mossa mi assaliva implacabile 😅.

Nel complesso trovo che “Febbre” sia un romanzo ben scritto e sincero, qualità rara e da apprezzare, soprattutto quando un autore sceglie di parlare di se stesso.

Stefania Russo