Uno dei pilastri della letteratura Russa, che tutti conoscono almeno di nome ma che pochi (almeno in Italia) hanno davvero letto. Io finalmente sono riuscita a colmare la lacuna, ma doverosa premessa: ne ho letta una versione in prosa, in cui il traduttore ha preferito concentrarsi sul significato piuttosto che sul ritmo; ne consegue che non posso giudicare lo stile ma solo il contenuto, anche se il lirismo che pervade l’opera riesce a trasparire anche così. Iniziamo col dire che è molto più brillante di quanto mi aspettassi (ma in effetti anche “La figlia del capitano” mi aveva meravigliato in tal senso), con una trama intensa se non a livello di avvenimenti di sicuro in quanto a passioni ed emozioni. I personaggi sono pochi e splendidamente delineati, ciascuno a rappresentare sia se stesso che un tipo sociale: abbiamo il protagonista dandy, il suo amico poeta romantico e soprattutto Tatiana, figura femminile di rara profondità; da ragazzina ipersensibile sboccia in sofisticata donna di mondo senza che questo scalfisca la sua interiorità più profonda. Il libro è un’eterna lotta tra cinismo e sensibilità, tra spontaneità e convenzioni sociali: Eugenio e Tatiana sono agli estremi di questo dualismo che alla fine non vedrà né vincitori né vinti. Interessanti anche i richiami alla società russa del tempo, ma purtroppo per me lettrice moderna sono andati in gran parte perduti; la ricchezza descrittiva invece, per quanto esempio del genio di Puskin, ha appesantito la lettura. A conti fatti un’opera monumentale ma non facile, che richiede uno sforzo di attenzione e di riflessione per essere apprezzata fino in fondo. D’altronde è a questo che servono i grandi libri, ad aprirci la mente.

Giulia Pontecorvo