“Eppure bisognerebbe proprio che ogni uomo avesse almeno un posto dove andare. Poiché c’è un momento in cui bisogna andare assolutamente da qualche parte!” Comprendo sia un mio limite: questo libro, considerato un capolavoro della letteratura mondiale, non mi ha completamente affascinata, non è riuscito a conquistarmi del tutto. Il protagonista di “Delitto e castigo”, Raskolnikov, è un povero studente che vive a Pietroburgo; decide di assassinare una vecchia usuraia per rapinarla e aiutare così la sua famiglia e anche per dimostrare a se stesso di essere in grado di compiere un grande atto. Purtroppo, durante l’aggressione, è costretto a uccidere anche la sorella della vittima trovatasi lì per caso al momento del delitto. Prima e dopo l’omicidio, viene colto dal delirio: da una parte i rimorsi lo tormentano, dall’altra le ambizioni di superiorità, che sembrano anticipare il superuomo nietzschiano, lo “alleggeriscono” dal peso della morale. La grandezza lampante di Dostoevskij sta nell’analisi profonda dell’io che anticipa le teorie di Freud e della psicoanalisi. Riesce a descrivere il “sottosuolo” dell’uomo, la parte nascosta dell’iceberg, dove bene e male si intrecciano. L’altra grande novità dello scrittore russo è sicuramente la scelta di rendere protagonisti i paesaggi urbani degradati, con la loro miseria e desolazione. Non sono riuscita nel finale a trovare una speranza lampante o una totale redenzione del protagonista: questo non mi ha permesso di sentirlo vicino, nonostante il suo amore per Sonja, che rappresenta l’umanità, oltre che la fede. Sono consapevole che questo sia un mio imperdonabile limite, tuttavia… così è!
Alessandra Micelli