Dante Alighieri, o Alighiero, battezzato Durante di Alighiero degli Alighieri e anche noto con il solo nome Dante, della famiglia Alighieri (Firenze, tra il 21 maggio e il 21 giugno 1265 – Ravenna, notte tra il 13 e il 14 settembre 1321), è stato un poeta, scrittore e politico italiano.
Dante Il nome “Dante”, secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante; nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio de Alagheriis, mentre la variante Alighieri si affermò solo con l’avvento di Boccaccio.
È considerato il padre della lingua italiana; la sua fama è dovuta eminentemente alla paternità della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia e universalmente considerata la più grande opera scritta in lingua italiana e uno dei maggiori capolavori della letteratura mondiale. Espressione della cultura medievale, filtrata attraverso la lirica del Dolce stil novo, la Commedia è anche veicolo allegorico della salvezza umana, che si concreta nel toccare i drammi dei dannati, le pene purgatoriali e le glorie celesti, permettendo a Dante di offrire al lettore uno spaccato di morale ed etica.
Importante linguista, teorico politico e filosofo, Dante spaziò all’interno dello scibile umano, segnando profondamente la letteratura italiana dei secoli successivi e la stessa cultura occidentale, tanto da essere soprannominato il “Sommo Poeta” o, per antonomasia, il “Poeta”. Dante, le cui spoglie si trovano presso la tomba a Ravenna costruita nel 1780 da Camillo Morigia, è diventato uno dei simboli dell’Italia nel mondo, grazie al nome del principale ente della diffusione della lingua italiana, la Società Dante Alighieri, mentre gli studi critici e filologici sono mantenuti vivi dalla Società dantesca.
A partire dal XX secolo e nei primi anni del XXI, Dante è entrato a far parte della cultura di massa, mentre la sua opera e la sua figura hanno ispirato il mondo dei fumetti, dei manga, dei videogiochi e della letteratura.
Biografia di Dante
La data di nascita di Dante non è conosciuta con esattezza, anche se solitamente viene indicata attorno al 1265. Tale datazione è ricavata sulla base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella Vita Nova e nella cantica dell’Inferno, che comincia con il celeberrimo verso Nel mezzo del cammin di nostra vita. Poiché la metà della vita dell’uomo è, per Dante, il trentacinquesimo anno di vita e poiché il viaggio immaginarioavviene nel 1300, si risalirebbe di conseguenza al 1265. Oltre alle elucubrazioni dei critici, viene in supporto di tale ipotesi un contemporaneo di Dante, lo storico fiorentino Giovanni Villani il quale, nella sua Nova Cronica, riporta che «questo Dante morì in esilio del comune di Firenze in età di circa 56 anni» una prova che confermerebbe tale idea. Alcuni versi del Paradiso ci dicono inoltre che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21 giugno. Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del battesimo: il 27 marzo 1266, di Sabato santo. Quel giorno vennero portati al sacro fonte tutti i nati dell’anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un parente ghibellino. Pregna di rimandi classici è la leggenda narrata da Giovanni Boccaccio ne Il Trattatello in laude di Danteriguardo alla nascita del poeta: secondo Boccaccio, la madre di Dante, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione e sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito e di vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi in un magnifico pavone.
Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita. 3
Ahi quanto a dir qual era è cosa dura esta selva selvaggia e aspra e forte che nel pensier rinova la paura! 6
Tant’è amara che poco è più morte; ma per trattar del ben ch’i’ vi trovai, dirò de l’altre cose ch’i’ v’ ho scorte. 9
Io non so ben ridir com’i’ v’intrai, tant’era pien di sonno a quel punto che la verace via abbandonai. 12
Ma poi ch’i’ fui al piè d’un colle giunto, là dove terminava quella valle che m’avea di paura il cor compunto, 15
guardai in alto e vidi le sue spalle vestite già de’ raggi del pianeta che mena dritto altrui per ogne calle. 18
Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta. 21
E come quei che con lena affannata, uscito fuor del pelago a la riva, si volge a l’acqua perigliosa e guata, 24
così l’animo mio, ch’ancor fuggiva, si volse a retro a rimirar lo passo che non lasciò già mai persona viva. 27
Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, ripresi via per la piaggia diserta, sì che ’l piè fermo sempre era ’l più basso. 30
Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggera e presta molto, che di pel macolato era coverta; 33
e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto. 36
Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino 39
mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle 42
l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone. 45
Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse. 48
Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, 51
questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista, ch’io perdei la speranza de l’altezza. 54
E qual è quei che volontieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’n tutti suoi pensier piange e s’attrista; 57
tal mi fece la bestia sanza pace, che, venendomi ’ncontro, a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace. 60
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi a li occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco. 63
Quando vidi costui nel gran diserto, “Miserere di me”, gridai a lui, “qual che tu sii, od ombra od omo certo!”. 66
Rispuosemi: “Non omo, omo già fui, e li parenti miei furon lombardi, mantoani per patrïa ambedui. 69
Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi, e vissi a Roma sotto ’l buono Augusto nel tempo de li dèi falsi e bugiardi. 72
Poeta fui, e cantai di quel giusto figliuol d’Anchise che venne di Troia, poi che ’l superbo Ilïón fu combusto. 75
Ma tu perché ritorni a tanta noia? perché non sali il dilettoso monte ch’è principio e cagion di tutta gioia?”. 78
“Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte che spandi di parlar sì largo fiume?”, rispuos’io lui con vergognosa fronte. 81
“O de li altri poeti onore e lume, vagliami ’l lungo studio e ’l grande amore che m’ ha fatto cercar lo tuo volume. 84
Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore, tu se’ solo colui da cu’ io tolsi lo bello stilo che m’ ha fatto onore. 87
Vedi la bestia per cu’ io mi volsi; aiutami da lei, famoso saggio, ch’ella mi fa tremar le vene e i polsi”. 90
“A te convien tenere altro vïaggio”, rispuose, poi che lagrimar mi vide, “se vuo’ campar d’esto loco selvaggio; 93
ché questa bestia, per la qual tu gride, non lascia altrui passar per la sua via, ma tanto lo ’mpedisce che l’uccide; 96
e ha natura sì malvagia e ria, che mai non empie la bramosa voglia, e dopo ’l pasto ha più fame che pria. 99
Molti son li animali a cui s’ammoglia, e più saranno ancora, infin che ’l veltro verrà, che la farà morir con doglia. 102
Questi non ciberà terra né peltro, ma sapïenza, amore e virtute, e sua nazion sarà tra feltro e feltro. 105
Di quella umile Italia fia salute per cui morì la vergine Cammilla, Eurialo e Turno e Niso di ferute. 108
Questi la caccerà per ogne villa, fin che l’avrà rimessa ne lo ’nferno, là onde ’nvidia prima dipartilla. 111
Ond’io per lo tuo me’ penso e discerno che tu mi segui, e io sarò tua guida, e trarrotti di qui per loco etterno; 114
ove udirai le disperate strida, vedrai li antichi spiriti dolenti, ch’a la seconda morte ciascun grida; 117
e vederai color che son contenti nel foco, perché speran di venire quando che sia a le beate genti. 120
A le quai poi se tu vorrai salire, anima fia a ciò più di me degna: con lei ti lascerò nel mio partire; 123
ché quello imperador che là sù regna, perch’i’ fu’ ribellante a la sua legge, non vuol che ’n sua città per me si vegna. 126
In tutte parti impera e quivi regge; quivi è la sua città e l’alto seggio: oh felice colui cu’ ivi elegge!”. 129
E io a lui: “Poeta, io ti richeggio per quello Dio che tu non conoscesti, acciò ch’io fugga questo male e peggio, 132
che tu mi meni là dov’or dicesti, sì ch’io veggia la porta di san Pietro e color cui tu fai cotanto mesti”. 135
Allor si mosse, e io li tenni dietro.
Inferno di Dante
L’Inferno è la prima delle tre cantiche della Divina Commedia di Dante Alighieri, corrispondente al primo dei Tre Regni dell’Oltretomba e il primo visitato da Dante nel suo pellegrinaggio ultraterreno, viaggio destinato a portarlo alla Salvezza. Il mondo dei dannati, suddiviso secondo una precisa logica morale derivante dall’Etica Nicomachea di Aristotele e frutto della somma e della sintesi del sapere a lui contemporaneo. L’inferno dantesco è il luogo della miseria morale in cui versa l’umanità decaduta, privata ormai della Grazia divina capace di illuminare le azioni degli uomini. Le successive cantiche sono il Purgatorio ed il Paradiso.
l Purgatorio è la seconda delle tre cantichedella Divina Commedia di Dante Alighieri. Le altre cantiche sono l’Inferno ed il Paradiso. Il Purgatorio dantesco è diviso in Antipurgatorio, Purgatorio e Paradiso terrestre. La struttura del Purgatorio segue la classificazione tomistica dei vizi dell’amore mal diretto, e non fa più riferimento a singole colpe. Esso è suddiviso in sette cornici, nelle quali si espiano i sette peccati capitali: superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola, lussuria.
Il Paradiso è la terza delle tre cantiche che compongono la Divina Commedia di Dante Alighieri, dopo l’Inferno e il Purgatorio. Nella sua Epistola XIII Dante dedicò la cantica a Cangrande della Scala.
Quando parliamo di Dante Alighieri, tendiamo a focalizzarci sulla Divina Commedia, ma, considerato il tema di oggi “ Conosciamo meglio…” desidero soffermarmi su di un’altra opera: la Vita Nuova. La Vita nuova non è una semplice cernita, rivisitata e commentata, delle rime giovanili di Dante, ma qualcosa di molto più complesso, tanto da poterla definire una sorta di trasfigurazione dei propri componimenti, che vengono letteralmente rivissuti dal poeta. L’animo diverso con cui sono affrontati, grazie a maturità ed approfondimento, riescono a regalargli un nuovo significato, tanto da trasformarli nell’immagine di un amore perfetto, sublimato in leggenda. Particolarmente degno di nota, è il terzo capitolo, in cui il poeta descrive il proprio primo incontro con Beatrice, all’età di diciotto anni. Al di lei saluto, la gentilissima, Dante, sopraffatto dall’emozione al sol aver udito le sue parole, fugge per raccogliersi, incredibilmente emozionato, nel …solingo luogo d’una camera… Un brano davvero emozionante, che tende a rimanere in ombra rispetto alla Commedia, indubbiamente di maggior impatto, ma che merita tutta l’attenzione possibile riguardo a delicatezza e sensibilità espresse…
…L’ora che lo suo dolcissimo salutare mi giunse, era fermamente nona di quel giorno; e però che quella fu la prima volta che le sue parole si mossero per venire a li miei orecchi, presi tanta dolcezza, che come inebriato mi partio da le genti e ricorsi a lo solingo luogo d’una mia camera, e puosimi a pensare di questa cortesissima. …
Due chicche finali, per concludere la proficua giornata dedicata al sommo poeta. L’edizione 1000 lire della Divina Commedia, pubblicata da Newton, che condensava l’opera in 100 pagine, ed una curiosità sul verso Pape Satan Pape Satan Aleppe, che apre il canto VII dell’Inferno: non si tratta di un’espressione goliardica inserita da Dante allo scopo di divertire il lettore, come sostenuto da un virtuoso, purtroppo rimasto anonimo, in sede di esame di maturità ( Miti’ Vigliero Lami, Stupidario della maturità ); le ipotesi più accreditate sull’origine sembrano essere due. Poterebbe derivare dall’ebraico Babes Shaytan alif, un’invocazione che suona, più o meno, come un aiuto a Satana padre, oppure, più convincente, per assonanza, discendere dal francese Pas paix Satan pas paix Satan a l’ epee…niente pace Satana niente pace Satana alla spada…