Questo libro è una biografia e un’autobiografia. Un libro di quasi 500 pagine in cui c’è tutto un vissuto di un uomo, Boris Pahor, triestino di lingua slovena, scrittore e insegnante. Un uomo deportato nei campi di concentramento che ha saputo uscirne vincitore, poiché ha avuto la fortuna di avere l’amore. Infatti, dice: “Io credo che, nonostante tutto il male, la vita sia valsa la pena perché ho potuto godere della bellezza dell’esistenza, perché ho amato e sono stato amato.” Racconta la sua Trieste felice, prima delle leggi razziali, del periodo storico astro/ungarico. Di quando iniziò l’ascesa al fascismo e che non si poteva parlare sloveno, della sua esclusione dalla scuola. Parla del suo vagabondare e della sua azione di resistenza finché non venne deportato. Parla della sua resilienza e del suo riscatto, divenendo scrittore insegnante, avendo riconoscimenti soprattutto dalla Francia, dove ha vissuto buona parte della sua esistenza. I suoi romanzi, a parte Necropoli, hanno sempre descritto la donna e la sua musa era sua moglie, ogni libro c’era nella narrazione un qualcosa di lei, uno fra tutti: Qui è proibito parlare. In Necropoli ha voluto dar voce ai tanti non sopravvissuti: “Ho scelto questa formula per la libertà e democrazia nonostante questo male, questo ampio fiume che ha inondato il XX secolo […]. Una vita non solo lunga ma vissuta a pieno; Boris con i suoi 100 anni e più, è stato veicolo di fatti e di stati d’animo di un secolo che ha segnato la storia dell’umanità.
Elena Antonini