Circe, la maga che si invaghisce di Odisseo e ne trasforma i compagni in maiali, rivive nelle pagine della Miller, il cui primo romanzo, “La canzone di Achille”, ha segnato l’esordio di una scrittrice colta e appassionata, originale e tradizionale al tempo stesso. Recuperando le diverse saghe mitiche che confluiscono nella figura della protagonista, l’autrice tratteggia un personaggio indimenticabile, seguito dall’infanzia fino al sorprendente finale, destinato a imprimersi nella mente del lettore anche grazie a una lingua che recupera alcune caratteristiche di quella omerica, come l’uso degli epiteti, adattandole tuttavia alle esigenze della comunicazione contemporanea. Attraverso la figura di Circe, compiamo un viaggio in un universo dorato e scintillante, caratterizzato da una perfetta immutabilità, che Circe stessa, prototipo delle eroine moderne, avverte come un limite e non come un segno di superiorità. Per lei, donna di passioni e sentimenti, che preferisce la compagnia dei mortali a quella dei suoi simili, la magia diviene strumento per conoscere e dominare la legge della trasformazione, che regola l’esistenza tutta, e comprendere, nel contempo, come la morte consista in quella incorruttibilità di cui gli dei si fanno vanto. Grazie a una solida conoscenza della cultura classica, la Miller crea una figura potente e indimenticabile, che nasce dall’implicita combinazione delle due caratteristiche primarie della Circe omerica, il dominio ferino e la connotazione erotica, che rimandano alla preindoeuropea Signora degli animali. La Circe del romanzo è simbolo di una più generica condizione femminile, destinata solo apparentemente a soccombere dinanzi ai pregiudizi e agli stereotipi di gruppo, ma in realtà resiliente, perché in grado di adattarsi ai mutamenti di una società in divenire.
Marsilio editore
recensione di Maria Carolina Campone