Apologia di Socrate di Platone
Socrate non scrisse nulla ed è grazie ai suoi discepoli, soprattutto a Platone, che è diventato un gigante della storia e del pensiero. E proprio l’Apologia di Socrate scritta da Platone ne ha fatto “un eroe” nel cui messaggio uomini ed epoche diverse hanno letto una sfida di libertà, un richiamo alla imperatività della legge morale, un appello religioso, un manifesto di coerenza politica che mette da parte i compromessi. L’Apologia platonica non è propriamente un dialogo socratico, anche se non manca di spunti dialogici. Essa è costituita dai tre discorsi che Socrate pronuncia in tribunale il giorno del suo processo: il primo, il più lungo, è il vero e proprio discorso di difesa dell’accusato, il secondo è il discorso con cui Socrate, riconosciuto colpevole, formula la sua proposta di pena in contrapposizione a quella formulata dall’accusa, il terzo è il discorso finale che Socrate, condannato a morte, rivolge ai giudici che hanno votato contro di lui e a quelli che hanno votato a favore. Ai primi il filosofo osserva che, per non avere voluto aspettare il poco tempo che, alla sua età, lo separa dalla morte naturale, saranno accusati di averlo ucciso. Il loro giudizio però risulterà inutile perché la sua attività non finirà con lui, altri verranno a proseguire la sua opera, più accaniti, numerosi e più giovani. Ai secondi invece egli rivolge una preghiera accorata, li prega di prendersi cura dei suoi figli spronandoli a coltivare la virtù.
Questo scritto di Platone non fu il solo ispirato dal processo di Socrate. Una Apologia di Socrate aveva scritto anche l’oratore Lisia: Socrate la lesse e la rifiutò perché poco adatta a lui. La tradizione conosce anche un’Apologia di Socrate di Teodette, il poeta tragico del IV secolo a. C., e una di Demetrio di Falero, intellettuale e uomo politico ateniese dal 317 al 307. Un’Apologia di Socrate si trova anche nel corpus delle opere di Senofonte e un’altra la scrisse Libanio, retore del IV secolo d. C.
Antonella Micolani